Oggi è il 21 dicembre, solstizio d’inverno.
Il solstizio si chiama così perché è il momento in cui la terra si avvicina di più al sole. È stato preceduto dall’equinozio di autunno, dal solstizio d’estate e dall’equinozio di primavera.
Rappresenta uno dei quattro momenti astronomici che segna la chiusura di un ciclo e l’apertura di quello nuovo.
È la stagione più fredda dell’anno, almeno in questa parte del mondo, dove la natura si ritira in sé stessa, morendo completamente e lasciando di sé solo l’essenziale.
Indipendentemente dalla nostra quotidianità, questa è una dinamica che segue anche la nostra anima: ritirarsi per un po’ restando ‘dentro’ e permettendosi di morire per poi rinascere. Anche se il nostro calendario moderno si è allontanato dai cicli naturali ne restiamo comunque interconnessi: il freddo non invoglia a trascorrere il tempo all’aperto e il focolare domestico è molto più invitante.
Inoltre, in questo periodo dell’anno siamo lontani dall’ultima pausa estiva e da quella che verrà, quindi la stanchezza aggiunge pesantezza a questa fase altamente introspettiva.

Solstizio d’inverno – rituali
Essendo una fase di passaggio sia astronomica che simbolica porta con sé tanta storia e tanto simbolismo che se è stato dimenticato dalla mente, rimane presente nell’inconscio collettivo.
Le antiche popolazioni germaniche lo chiamavano Yule o Jól e in questo giorno erano soliti tenere grandi banchetti, mentre in Britannia, esattamente a Stonehenge, usavano osservare il fenomeno al tramonto, rituale ancora oggi attivo (per fortuna!).
Presso i Romani in questo periodo, precisamente dal 17 al 23 dicembre, venivano festeggiati i Saturnalia, giorni dedicati a Saturno, dio dell’agricoltura, durante i quali si invertivano gli ordini gerarchici: i servi divenivano padroni e viceversa.
Questi festeggiamenti, per quanto diversi tra loro, erano accomunati dalla presenza di rituali significativi che richiedevano il sacrificio di animali. La parola sacrificio ha la stessa matrice di sacro e significa, appunto, rendere sacro qualcosa. Gli animali durante i riti non venivano solo uccisi, ma consacrati. Come ti raccontavo qui nei popoli nativi molto spesso i bisonti si consegnavano ai cacciatori perché sapevano che questi ne avrebbero mangiato solo le carni e mai l’anima.
Certo ai giorni d’oggi sacrificare un’animale non è più il modo migliore di rendere sacro questo giorno ma sono tanti i rituali che possiamo portare nella nostra vita moderna.
Il letargo dell’anima

Questa è la fase preparatoria dove abbiamo sperimentato le morti simboliche, gli accumuli eccessivi e ci dirigiamo verso la rinascita primaverile.
Ora l’attenzione si sposta all’interno dove restiamo con ciò che c’è.
Il freddo è l’elemento principale di questo tempo: le emozioni sembrano congelarsi diventando protagoniste di questa fase di passaggio antecedente la rinascita. Restando un po’ chiusi in casa sono loro le compagne di avventura e meritano di essere riconosciute anche quando non ci piacciono.
Il vento spazza via gli accumuli di ciò che stiamo lasciando andare; possono essere pensieri, stati d’animo, credenze o situazioni.
La neve è acqua congelata e parla di un’emozione ferma nel tempo, forse che ci accompagna da tanto tempo ed è pronta a sciogliersi; è simile anche a dei vecchi blocchi che inconsapevolmente ci portiamo appresso. Gli accenni di sole la sciolgono come la nostra consapevolezza scioglie la neve stessa!
Gli alberi spogli ci riportano all’essenza: la torre è già crollata e la morte ha già tolto quel che non serviva più. Ora rimangono le essenze, le forme e le strutture che si mostrano per quelle che sono: solide, affidabili e radicate.
È un periodo dell’anno perfetto per lavorare sul radicamento o ritirarsi in meditazione, ritornare dentro per prendere coscienza e benedire di ciò che è fuori. Vuoi provare una meditazione guidata? Scrivimi, così ne studierò una su misura per te.