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In questo periodo storico lasciare andare quello che non serve, sciogliere nodi energetici, rivisitare i vecchi dolori emotivi e vedersi sfaldare le vecchie credenze divenute arcaiche è diventato qualcosa di normale, quasi quotidiano. Il cielo spinge all’evoluzione e questo significa alleggerimento e crescita personale. Tutto ciò che è pronto a distaccarsi se ne andrà, indipendentemente dalla nostra volontà. Potrebbero essere parti di noi, modi di vedere le cose, stati emozionali, persone, rapporti o altre situazioni. Andrà via solo quello che non è più in linea con la nostra essenza, la vita non toglie cose a caso! 

Questi movimenti, però, diventano difficili da accettare perché agli esseri umani il cambiamento fa paura. Queste forme di perdita attivano livelli ancestrali legati alla sopravvivenza, quindi si innesca la paura della morte.

Per i popoli antichi la morte è stata vista come un grande cambiamento e lo sapeva bene Franco Battiato che ne aveva girato un bellissimo documentario che puoi trovare sul web.

La necessità di colmare il vuoto

L’umano è terrorizzato dal vuoto poiché lì entriamo in uno spazio-tempo dove il controllo della mente non ci serve, il nostro ego (che ha bisogno di certezze) sente di dissolversi e attraversiamo un passaggio di vita-morte-vita perché quel contatto con il vuoto stesso ci cambia profondamente. 

La società stessa ha condannato il vuoto, insegnandoci il consumismo. Se ci pensi, accade lo stesso dentro di noi e qui la società ci fa da specchio: sentiamo il vuoto, abbiamo paura, lo riempiamo con pensieri, oggetti o cose inutili che intossicano e depotenziano anziché aiutare.

Ci è stato insegnato a riempirlo ad ogni costo ma queste sovrastrutture sono ciò che ci toglie dalla connessione con noi stesse, la nostra essenza, il cuore, il corpo e l’utero.

Il vuoto è la casa dell’anima, o del sé superiore come i trattati di psicologia lo definisco.

È lo spazio più sacro che abbiamo a disposizione ed è ricco di tesori. Dentro a quel vuoto ci siamo solo noi, individualmente, lì non c’è rumore che riempie, non c’è nulla oltre alla nostra essenza. Non c’è condizionamento, contaminazione o ripetizione che possa intaccare questo spazio.

C’è solo un modo sano per riempirlo: attraverso il respiro

Con il respiro riusciamo a sentire l’espansione e a canalizzare nuove informazioni che arrivano proprio dal vuoto stesso.

Perché abbiamo paura del cambiamento?

Perché abbiamo paura del cambiamento?

Parte della paura è dovuta anche alle memorie rettili del nostro cervello che hanno il compito di proteggerci dai pericoli innescando dei kit di salvataggio quando sentono minata la sopravvivenza. Un’esperienza sacra e tramutante come il contatto con il vuoto, se ci pensi, sembra dissolvere l’Io, quindi crea una morte simbolica ed è qui che si possono attivare le memorie animali collegate alla sopravvivenza, al pericolo della perdita del branco e alla morte reale imminente.

In realtà, è solo un processo simbolico che rappresenta un nuovo inizio. 

È un passaggio che mi ricorda tanto ‘La Loba’ descritta da Clarissa P. Estés: è la donna lupo che ricerca le ossa (l’essenza-anima-struttura interiore) e una volta trovate muore a sé stessa per poi ballare sulle ceneri di chi è stata e da lì rinascere.

Arrivare a quel punto è sempre un rituale sacro: crollano le maschere di chi crediamo di essere, di chi ci hanno detto che siamo, della guerriera, del business man, della spavalda, del bambino impaurito, che si ricollegano direttamente alla paura del cambiamento in amore o alla paura del cambiamento nel lavoro.

Lasciar cadere queste maschere è come il ballo della Loba, crea quel senso di nudità che lasciandolo scorrere possiamo imparare a vederlo per quello che è: un giardino interiore, vergine, adatto ad ogni tipo di pianta/progetto, fertile e vivo.

E se questa paura dei cambiamenti fosse più paura della vita che della morte?

Perché si ha paura della morte?

La cultura occidentale ha completamente demonizzato la grande signora, facendola diventare un mostro e inculcandocene il terrore anche quando si tratta di una fase simbolica e a morire è solo una parte di noi. È stata vista e tacciata come fine, game over, stop forzato quando in realtà è la gemella siamese della vita.

In alcune culture si dice che sia la signora morte a girare verso il basso il bambino nell’utero per posizionarlo verso la vita. Quindi, se la grande signora non ci fosse sarebbero impossibili le nascite e, di conseguenza, le rinascite. I bambini e i morti arrivano dallo stesso mondo, ci hai mai pensato?

Noi donne forse siamo più fortunate perché abbiamo il mestruo che ci riconnette alla ciclicità e ci ricorda che dentro di noi ogni mese qualcosa nasce, per poi morire e fare spazio a qualcosa che nasce di nuovo.

È una ciclicità che è stata bannata a favore di una linearità mentale poiché quest’ultima è sempre meno spaventosa.

È una negazione di un processo naturale che, di conseguenza, porta disequilibrio nel ruolo e nello spazio da dare alla morte, inteso come processo reale e simbolico, e ai morti veri, le anime che lasciano il corpo.

Ci viene detto che i morti vanno in cielo e una parte di noi ci crede profondamente. Però, siccome viviamo sotto al cielo, di quei morti ne sentiamo culturalmente il peso. 

Se pensiamo allo svolgimento logico dei fatti, i corpi vengono tumulati sottoterra e gli antichi greci lo sapevano benissimo tanto da conservare ampolle di grano sui camini per poi spargerle sul terreno alla notte dei morti perché credevano profondamente che gli antenati sottoterra nutrissero quei grani e dessero maggior abbondanza al raccolto.

Sottoterra ci sostengono, sopra, in cielo, ci schiacciano.

Il mondo sottoterra è visto come il mondo dei morti, infatti, nelle ritualistiche studiate per lasciare andare cose pensanti spesso vengono fatte tumulare. Non è solo una questione umana, ma è presente anche nel mondo animale: gli elefanti, quando muore un cucciolo, scavano una buca con la proboscide e si riuniscono in cerchio emanando un verso di dolore straziante che ricorda tanto il pianto rituale di cui ho parlato qui.

Perché si ha paura della morte?

Il ponte tra il mondo dei vivi e dei morti

Nel corso dei secoli ci sono state svariate figure che hanno fatto da tramite tra il mondo dei vivi e quello dei morti, queste figure ricoprono ruoli sacri e avercele nell’albero genealogico vuol dire che lo stesso le codifica come sacerdotesse o sacerdoti, senza la connotazione religiosa alla quale siamo assuefatti.

Restando in Italia è impossibile non pensare all’accabbadora sarda, ‘colei che dava la buona morte’. Era una figura umana di cui è rimasta traccia fino al 1952 e la letteratura ne ha creato racconti magici. Erano donne prevalentemente dell’entroterra sardo che venivano chiamate quando il malato era terminale ed era sopraffatto da dolori strazianti. Si dice che lei desse la buona morte con un colpo di mortaio al centro della fronte.

Oppure, le ostetriche. Loro sono sempre state considerate sacre perché conoscitrici dei più intimi misteri di vita-morte-vita. Durante l’inquisizione molte di loro vennero sterminate perché quel sapere faceva paura. Tutt’ora non hanno più quel rilievo sociale datogli secoli fa: sono state oscurate dalla linearità di pensiero che non vede la ciclicità come centro della vita.

La paura del cambiamento e la morte nell’albero genealogico

È importante riuscire a trovare un modo individuale e sacro per accompagnare i defunti oltre. Non sappiamo cosa accade a loro ma possiamo vedere cosa accade a noi. Aiutando questo processo simbolico favoriamo anche l’elaborazione del lutto.

Ci sono morti genealogiche che possono complicare di parecchio il nostro rapporto con il cambiamento e il lasciare andare e qui te ne avevo già dato un accenno. Possiamo pensare a qualcuno che muore il giorno di capodanno: quello è il giorno in cui muore l’anno. Da lì in poi ne inizia uno nuovo. Un avo che muore in quella circostanza può far pensare che ‘quando finisce una cosa non ci sia più nulla’. 

Ereditare questa convinzione può voler dire avere problemi a lasciare andare le cose e a vivere i cambiamenti.

Oppure, un avo che muore il giorno prima di Pasqua: in questo caso non c’è rinascita. Quindi un discendente potrebbe pensare che l’inverno sia eterno per poi tirare a lungo le cose, annacquarle, riempirle e diluirle pur di non mollare la presa perché farlo significherebbe morire.

E tu, come sei messa coi cambiamenti? Hai mai verificato le date in cui sono morti i tuoi avi? Se vuoi, posso aiutarti a scoprire collegamenti significati a cui non avevi mai dato peso ma che stanno impedendo alla tua energia di fluire. Scrivimi!

Disclaimer
Io sono un’operatrice olistica e mi occupo di spiritualità, energia e anima. Il mio lavoro si concentra esclusivamente su questi tre aspetti dell’essere umano.
Nessun servizio o percorso di cui parlo in questo sito sostituisce in alcun modo il lavoro medico sanitario o psicoterapeutico.

Sabina

Nella vita traduco Simboli e Metafore in parole semplici.

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