Oggi ti parlo della Donna Scheletro, una delle mie fiabe preferite di cui ho amato l’interpretazione di Clarissa Pinkola Estés nel libro ‘Donne che corrono con i Lupi’.
Pronta a viaggiare insieme a me tra i mondi?
Se ti ricordi la fiaba puoi cliccare qui per leggere direttamente l’interpretazione costellativa.
La donna scheletro: riassunto della fiaba tratta da Donne che corrono con i lupi
Aveva fatto qualcosa che suo padre aveva disapprovato sebbene nessuno più rammentasse che cosa. Così, il padre l’aveva trascinata sulla scogliera e gettata in mare. I pesci ne mangiarono la carne e le strapparono gli occhi. Sul fondo del mare, il suo scheletro era voltato e rivoltato dalle correnti.
Un giorno arrivò in quella baia, un tempo molto frequentata, un pescatore. Quell’uomo veniva da lontano e non sapeva che i pescatori locali si tenevano ormai alla larga dalla piccola baia che dicevano essere frequentata da fantasmi.
La mano del pescatore scese nell’acqua e si impigliò proprio nelle costole della donna scheletro. Immaginando fosse un pesce, il pescatore si disse: ‘’ne ho preso uno proprio grosso’’ e iniziò a immaginare quante persone quel grosso pesce avrebbe potuto nutrire, quanto sarebbe durato, per quanto tempo lui sarebbe potuto restare a casa tranquillo. E mentre cercava di tirare su quel grande peso attaccato all’amo, il mare prese a ribollire e il suo kayak a essere sballottato, perché colei che stava sotto lottava per liberarsi. Ma più lottava, più restava impigliata. Inesorabilmente veniva trascinata verso la superficie, con le costole agganciate all’amo.
Il cacciatore si era girato per raccogliere la rete e non vide la testa calva affiorare dalle onde, non vide le piccole creature di corallo che guardavano dalle orbite del teschio, non vide i crostacei sui vecchi denti d’avorio. Quando si volse, l’intero corpo era ormai salito in superficie e pendeva dalla punta del kayak aggrappato per i lunghi denti.
“Aaaaah” urlò l’uomo e il cuore gli cadde fino alle ginocchia, gli occhi per il terrore si nascosero in fondo alla testa e le orecchie divennero rosso fuoco. “Aaaaah” gridò e la gettò giù dalla prua, con il remo prese a remare come un demonio verso la riva non rendendosi conto che era aggrovigliata nella lenza. Era sempre più terrorizzato perché quello scheletro pareva stare in piedi e inseguirlo a riva. Per quanto andasse a zig-zag con il kayak lei restava lì dietro, ritta in piedi e il suo respiro rovesciava sulle acque nuvole di vapore mentre le braccia si lanciavano in avanti come per afferrarlo e trascinarlo nelle profondità del mare.
“Aaaaaaah” gemeva il pescatore. Cercando di raggiungere la terra, saltò giù dal kayak prese a correre tenendo stretta la lenza e il cadavere bianco corallo della donna scheletro, sempre impigliato alla lenza, lo seguiva a balzelloni. Corse sugli scogli e lei lo seguiva, corse nella tundra ghiacciata e lei lo seguiva, corse sulla carne messa a seccare riducendola in pezzi con i suoi mukluk.
Lei gli era sempre dietro e intanto afferrò un pesce congelato e prese a mangiarlo perché da gran tempo non si sfamava. Alla fine l’uomo raggiunse il suo igloo, si lanciò nella galleria e, andando carponi, penetrò all’interno. Ansimando e singhiozzando giacque nell’oscurità con il cuore che batteva come un tamburo e pensò di essere ‘finalmente al sicuro, sì al sicuro, grazie agli dèi, al sicuro finalmente.’
Ma quando accese la lampada all’olio di balena ecco che lei era lì e lui cadde sul pavimento di neve con un tallone sulla spalla di lei, un ginocchio dentro la gabbia toracica, un piede sul gomito. Non seppe dire come accadde, forse perché la luce del fuoco né ammorbidiva i lineamenti o forse perché era un uomo solo, fatto sta che sentii nascere come un sentimento di tenerezza e lentamente allungò le mani sudice e, con parole dolci che una madre avrebbe rivolto al figlio, prese a liberarla dalla lenza.
“Ecco, ecco” prima liberò le dita dei piedi poi le caviglie, “ecco, ecco” e continuo nella notte e la rivestì di pellicce per tenerla al caldo. Le ossa della donna scheletro erano esattamente nell’ordine che dovevano avere in un essere umano.
Il pescatore cercò la pietra focaia e usò i suoi capelli per avere un po’ più di fuoco. Di tanto in tanto mentre ungeva il legno prezioso della sua canna da pesca, avvolgeva la lenza e la guardava. Lei non diceva una parola, non osava altrimenti quell’uomo l’avrebbe presa e gettata dagli scogli e le sue ossa sarebbero andate in pezzi. All’uomo venne sonno, scivolò sotto le pelli e cominciò ben presto a sognare.
Talvolta durante il sonno una lacrima scivola giù dall’occhio di chi sogna: non sappiamo mai quale sorta di sogno la provoca ma sappiamo che è un sogno di tristezza o di struggimento punto. E questo accadde all’uomo.
La donna scheletro vide la lacrima brillare alla luce del fuoco e all’improvviso sentì una tremenda sete. A fatica si trascinò accanto all’uomo addormentato e posò la bocca su quella lacrima. Quell’unica lacrima era come un fiume e lei bevve e bevve finché la sua sete di anni e anni non fu placata.
Mentre giaceva accanto a lui frugò nell’uomo addormentato e gli prese il cuore, il suo tamburo possente.
Si mise a sedere e cominciò a battere sui due lati del cuore “bum bum”.
Mentre suonava si mise a cantare “carne carne carne carne carne carne” e più cantava più si ricopriva di carne. Cantò per i capelli, per buoni occhi, belle mani piene. Cantò la linea tra le gambe, il seno abbastanza grande da trovarvi calore e tutte le cose di cui una donna ha bisogno e quando fu fatta si tolse le pellicce, spogliò il pescatore dormiente e scivolò nel letto con lui, pelle a pelle.
Rimise il grande tamburo, il cuore, nel corpo di lui. Così si risvegliarono stretti l’uno nelle braccia dell’altro, aggrovigliati dalla loro notte in un altro mondo, bello e duraturo.
Quelli che non rammentano il perché della sua cattiva sorte di un tempo dicono che lei e il pescatore andarono via e furono ben nutriti dalle creature che lei aveva conosciuto nella sua esistenza sott’acqua. Dicono che è vero e che è tutto quanto si sa sulla donna scheletro.
Simbologia del padre nella fiaba della donna scheletro
In questa fiaba vediamo il cadavere di una donna gettata in mare dal padre che, in questo caso, può rappresentare anche l’autorità morale e religiosa. La disapprovazione che ha portato a questo gesto estremo può raccontare di un’esclusione avvenuta nel sistema familiare tempo addietro, magari per ragioni morali o religiose. Potrebbe essere un evento accaduto anche quattro generazioni prima e dimenticato dalla mente ma del quale vi è traccia nelle memorie energetiche dell’albero. L’oblio e la perdita della memoria a livello razionale equivale, infatti, ad un’esclusione.
L’aspetto simbolico di questa fiaba ci parla delle acque-inconscio nelle quali vive uno scheletro-struttura-segreto-“parte non vista”- che, come ogni cosa repressa e taciuta, aspetta un tempo corretto per emergere.
Il pescatore come il pioniere genealogico
Il pescatore è il pioniere genealogico che, come parte del suo destino, ha avuto il compito di avvicinarsi a quelle acque evitate da tutti poiché infestate.
Cosa lo ha portato lì? I suoi movimenti.
Volendoti tradurre in parole semplici questa metafora in qualcosa di quotidiano, potrei dirti che il pescatore -discendente- stava vivendo una certa situazione, o magari stava perseguendo un obiettivo che presentava molti ostacoli e, nel tentativo di superarli, è arrivato in queste acque -parti di sé- che avevano bisogno di reintegrare un’esclusione per poter procedere con la propria vita.
È tutto a scopo evolutivo e per lui evolvere implicava il passaggio attraverso questa esperienza. Essendo pioniere, è colui che spacca una tendenza-ripetizione e crea qualcosa di nuovo. Possiamo anche vederlo come la ‘pecora nera’ che, in realtà, è un diamante che introietta nuove informazioni affinché l’albero non si cristallizzi e muoia. Novità e cambiamento sono vita allo stato puro.

La simbologia della donna scheletro
Le costole rappresentano la creazione e ci ricordano il racconto cattolico della donna (vita) nata dalla costola di Adamo. Le mani del pioniere si impigliano proprio nel simbolo della creazione mentre lui cerca del cibo per garantirsi la sopravvivenza.
Probabilmente, a livello inconscio era certo che quel passare tra le acque-inconscio ignorate da tutti quelli che si ‘guardavano bene dal pescarci’ (avi) serviva a far riemergere qualcosa che lo rimettesse al mondo. Un nodo energetico da sciogliere, un blocco da lasciare andare o un vecchio racconto da riprogrammare.
Non tutto emerge con dolcezza: abbiamo delle profondità dolorose che per proteggerci tendiamo a lasciare dove sono anche se parti di noi sanno quanto sia controproducente questo meccanismo.
Forse, quello che spinge per emergere fa così paura da spaccare le umane certezze e rimescolare ogni carta. Magari se fino a quel momento eravamo certi di una strada, progetto, relazione, una volta in contatto con lo scheletro abbiamo capito che la nostra anima ci vuole portare altrove rispetto alle volontà della mente e questo fa paura.
Anche quando lavoriamo sui legami genealogici accade qualcosa di simile: l’albero ha pudore e quando i suoi scheletri stanno per emergere sente minacciata la sua struttura e tende a difendersi per sopravvivenza. Quando accade lavoro con dei rituali psicomagici che servono a prepararci a questo passaggio così che il sistema sappia che siamo lì per evolvere e non distruggere e il lavoro riesca ad andare in profondità.
Il terrore che accompagna i nodi energetici che si sciolgono
La testa ha un insieme di 22 ossa così come sono 22 gli Arcani Maggiori. Sono state le onde-emozioni a smuovere le acque affinché la donna scheletro riaffiorasse. Cosa c’è sotto queste emozioni? È sempre una domanda interessante da farci. Qui si parla di terrore ed è quella sensazione che io conosco bene quando sta per riemergere un segreto taciuto, dimenticato e scordato.
Ci sono passata durante le ricerche genealogiche fatte nell’albero di mio padre. Mentre aspettavo un messaggio dal genealogista incaricato di recuperarmi i documenti, avevo iniziato a sentire il terrore al centro del petto, accompagnato da frasi come “non avresti dovuto aprire quella porta”, “non avresti dovuto indagare”, “doveva restare tutto com’era”. Questo era parte del mio sistema. Poco dopo arrivò il messaggio ed emerse Adelaide, la prima moglie del mio bisnonno Savino. S si sposarono quando lei aveva 63 anni e lui 27, 10 anni dopo rimase vedovo e sposò la mia bisnonna che di anni ne aveva 19.
Come sarà stato per una ragazza così giovane vivere una situazione del genere? Poi scoprimmo Anna Maria, la prima moglie del padre di Savino e così molte altre prime mogli.
In questo caso il terrore è la spaccatura che lo scheletro in riemersione crea tra conscio e inconscio.
La fame dello scheletro ci parla del bisogno di riconoscimento di questo passaggio emotivo importante: Quali sono le emozioni che sentiamo? Cosa proviamo?
Accompagniamo questo passaggio accogliendo e chiedendo aiuto quando è troppo forte… in fondo, gli strumenti ci sono!
Un ultimo dettaglio da sottolineare è la presenza dei crostacei sui denti di avorio. Avevano il compito di ripulire i detriti energetici dei segreti, dei non detti e di tutto ciò che fino ad allora non era stato visto.

Prendersi cura del dolore dell’anima nella fiaba della donna scheletro
La resa del pescatore permette lo svolgimento della storia mediante “il cuore che batteva come un tamburo”, suono primordiale che ci riporta al grembo di nostra madre -igloo- dove sentirci al sicuro mentre il passaggio avviene. Come via di fuga non vale; infatti, lo scheletro-nodo-segreto è lì dentro che aspetta, ma è davvero così pericoloso?
La tenerezza e l’amore che si sono attivati da quella vicinanza nell’igloo dicono altro. Infatti, è l’archetipo della madre che rivolge parole dolci al figlio che lo spingono a liberarla dalla lenza.
Prendersi cura del dolore è prendersi cura di sé nei nostri luoghi interiori dove possiamo divenire genitori di noi stessi.
Le acque ci ricordano anche quelle amniotiche conosciute nell’utero-igloo dove abbiamo registrato memorie emozionali; com’è stata la gravidanza di nostra madre? E il suo vissuto emotivo? Queste sono informazioni importanti quando siamo in situazioni di cambiamento come questa!
Rendere onore ad un avo o un destino
Il fatto che il pescatore-pioniere abbia ricomposto lo scheletro ci parla di come gli abbia reso onore e lo abbia reintegrato. Ovvero, gli ha dato un posto nel cuore. Potrebbe essere un avo vero e proprio, un destino di un avo, una convinzione, questo non importa molto ma il rendere onore è ciò che ci libera. Come lo scheletro ricomposto ridà dignità alla donna, così il lasciare agli avi le loro responsabilità gli ridà forza e ciò gli permette di sostenerci!

Cosa rappresentano il tamburo e la lacrima nella donna scheletro?
Il sonno, oltre che al funzionamento fisiologico del corpo umano, ci parla del viaggio che quotidianamente facciamo nel mondo del sogno. I simboli, le parti più profonde di noi, gli scheletri e simili, riemergono in questa dimensione che fa da tramite con la nostra anima. La lacrima è la liberazione emotiva di qualcosa di vecchio che crea spazio per il nuovo.
Fu la lacrima ad attivare la trasformazione dello scheletro-qualcosa-di-spaventoso in una donna, metaforicamente intesa come nuova vita, nuova immagine e nuovo racconto.
Il tamburo e i canti sono memorie ancestrali che l’uomo dagli arbori del mondo ha sempre usato per riconnettersi alle parti ataviche di noi. Un mutamento alchemico e sciamanico che riconnette il pioniere al proprio destino con una nuova forza.